Etichettato: bestemmioni

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EPISODIO 1 – L’ARRIVO

Mettiamo che i protagonisti di questa storia si chiamino Matteo e Beatrice, così. Mettiamo pure che Matteo accetti di andare a lavorare gratis perché è uno  che si prende bene quando, nel mezzo del niente della provincia più bassa e gretta che caro Vasco vieni a cantare questa checcazzo Ferrara, succede qualcosa che coinvolge la musica, i ragazzi e l’arte. Mettiamo che Beatrice decida di accompagnare Matteo in questa spedizione a 80 km di distanza, perché è una stronza e ha già capito che –con quella concentrazione di fricchettoni, santoni del sabato pomeriggio, ballerine pancabbestia e sessantenni coi capelli lunghi e il riporto, ci sarà tanto da divertirsi.

EPISODIO 2 – IL FONICO

Matteo era arrivato da ormai quindici minuti e da almeno dieci veniva mandato, carico di tutto il suo materiale, da un lato all’altro del campo in cui si teneva l’evento. Spostati alla cala della luna, muoviti verso la terra delle stelle, secondo me potresti piazzarti nella piana dell’anima. Tutti questi posti coi nomi esotici e decisamente irritanti erano soltanto degli spiazzi che si aprivano tra lo stand del gruppo folk di San Nicolò Arcidano e il banchetto dell’Associazione ‘’Vogliamo La-vo-ro e lo vogliamo sbattendo il caschetto’’. Piazzato in uno a caso e avvisato di non avvicinarsi troppo ad una pianta perché ci avrebbe dovuto ballare una ballerina (tra l’altro, balla mentre tu suoni. Ma io sono suono, è field recording. Eja, ma tanto lei già fa tutto da sola), gli fu presentato il Fonico.
Il Fonico era un ragazzo sui trentacinque anni, molto magro e con un capellino da baseball liso in testa, che si accompagnava con un uomo poco più adulto i cui muscoli troppo gonfi gli impedivano di chiudere le braccia e probabilmente di far affluire abbastanza sangue al cervello. I due avevano un loro equilibrio nella comunicazione: quello secco parlava come un gabber a cui sa per schizzare la mascella da un momento all’altro, mentre quello gonfio evitava di parlare,preferendo esprimersi con dei rari grugniti. Il fonico entrò in agitazione appena vide Matteo: siccome non c’erano abbastanza prolunghe per attaccare le cose, gli spiegò con grossa difficoltà e una gran sudata che lui, un attempato deejay berlinese con un ridicolo panama bianco e il Re dei Fricchettoni, avrebbero dovuto concentrarsi in 1 mq perché
– No, cioè non hai capito zio, minca, non è che mi sposto le cose che è troppo un casino, capito che poi, no, zero, non fa, minchia che sono già a vaneggi, capito, tirati poco poco, eja, che ci mettiamo gaffa e fa a tenere il cavo tirato, molla stare il coso.
– Grnft.

EPISODIO 3 – IL GURU

Beatrice e Matteo, finito di sistemare il tutto, decisero che sarebbe stato carino vedere un po’ quello che succedeva intorno. Scampato per un pelo un ensamble di bonghettari degno del primo pomeriggio di un due giugno qualsiasi al Parco di Monteclaro, si ritrovarono di fronte al Guru.
Il Guru era un quarantenne barbuto e con una lunga coda scura, con un forte accento napoletano e degli ampi pantaloni in lino. Il Guru aveva un tamburello, un bastone della pioggia, un didgeridoo e delle palline di stoffa con dentro dei semini e le unghie dei piedi lunghe e nere, come quella storia che mi ha raccontato qualcuno che ad un tizio con le estremità dei piedi che parevano cozze fu dato il nomignolo di Lorenzo Lamas.
Il Guru era accompagnato da un sassofonista che aveva fatto il settantasette e ci era rimasto sotto male che, come spiegò a Matteo, ora campava di sussidi e della sua cover band anni ’80, sai col midi che è un problema spostarci in troppi, me lo paghi un caffè?
Il Guru iniziò a battere le dita sul tamburellino e a lallare qualcosa che suonava tipo:
Terra mia che è del cuore
L’anima cerca nel dolore
Io mi sento che la luna
è l’amica di fortuna

Intorno, stretti in cerchio, due decine di ultrasettantenni fissavano il Guru, scambiandosi  commenti del tipo:

– Eh, bravo. È poesia, è.

– Si, ma a me piace Nilla Pizzi

– Marietta, vai a vedere se stanno dando da mangiare che mi è salendo la glicemia.

Il Guru chiudeva gli occhi e si apriva tutti i chakra, tutti proprio, senza saltarne manco uno. Anche a costo di produrre rumori strani, ma che avrebbe fatto passare per il suono del didgeridoo.

EPISODIO 4 – LA CENA

Matteo e Beatrice riuscirono ad allontanarsi solo pochi secondi prima di essere travolti da centinaia di anziani inferociti: avevano aperto il buffet e non sarebbe sopravvissuto nessuno. Orde feroci di canuti maratoneti della brevissima distanza, agguantavano pezzi di pane, pizza, mortadella, formaggio e pane alla cipolla come se fosse l’ultimo pasto prima della fine della stagione delle piogge. Feroci fiere con le fauci grondanti olio e tammattiga, che sputavano brandelli di preda urlandosi da distanze brevissime ma pregne di corpi sudati, camicie buone conservate dal 1987 e tenalady messi poco bene, di prendere un altro pezzo di pane con le olive che poi finisce, fattene dare due che lo porto a casa.
Beatrice riuscì a scappare, prima che una nonna decidesse di aprirsi un varco fino al banchetto dei dolci di mandorla con la glassa, usando i suoi tre nipotini come scudo umano e come proiettili per lacerare le carni molli che le intralciavano il passaggio. Prese Matteo per mano e riuscirono a ritornare al  posto dove il Re dei Fricchettoni stava facendo il soundcheck.

EPISODIO 5 – IL RE DEI FRICCHETTONI

Khan Osho, come si faceva chiamare Filippo Denadai, era un musicista jazz senza molto talento che era andato una volta a Goa e si era preso una terribile gastroenterite e non era mai potuto uscire dal bungalow. Tornato in Italia, però, aveva raccontato di come l’incontro con Sai Baba gli avesse cambiato la vita e che avesse avuto la chiave del Nirvana dal cugino di secondo grado del Buddha che gli si era presentato sotto forma di scarafaggio d’oro con una corona di led che diceva Gautama Amanetta. Tornato al paesello si era costruito una carriera organizzando simposi di autocoscienza, workshop di contact e scuola creativa di anima e candele. Con le ultime elezioni comunali, suo cugino era diventato Assessore alla Cultura e gli aveva affidato la realizzazione del primo Festival di Musica, Natura, Arte e Creatività del paese. Gli aveva messo cinquemila euro in mano e Khan Osho ne aveva speso tremila per fare un flyer dell’evento in cui il grafico non aveva inserito i nomi dei partecipanti ma aveva lasciato in bella vista NOME COGNOME, altri mille e settecento per il service ed gli erano rimasti trecento euro per pagare i debiti col pusher che gli portava l’erba. Per cui, ormai nella merda fino al collo, chiese a musicisti e performers, fonico e signore delle pulizie di lavorare gratis, immolandosi all’altare della Cultura che in questa provincia disgraziata nessuno ci pensa più alla Cutura. E all’Arte. E all’Anima. E ai Khundalini.

EPISODIO 6 – FIGHT CLUB

Khan Denadai Osho e il dee jay berlinese col panama stavano viaggiando: completamente persi nella loro musica. Suonavano da mezzora, confondendo vecchiette e muovendosi a ritmo del respiro della Terra, quando il Fonico gabber gli si avvicinò e gli disse:

– Oh, signor Roscio, malaghe dovevi finire venti minuti fa che c’avevavavate mezzora a testa che ci sono i viggili che tocca finire a mezzanotte. Mì di non dimenticarti che c’è questo Matteo.

Osho ebbe un momento di rabbia. Come si permetteva di interromperlo? Lui, che stava illuminando quelle menti ottenebrate paesane con il verbo e la metempsicosi musicale. Di fronte a lui due signore si contavano quanti panini avevano arraffato dal buffet. Forse non era merito suo? Forse non era grazie a lui che era per loro il maestro che insegnava com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire? Non era grazie a lui che la loro parte assente si identificava con l’umidità? Il dee jay col panama guardava le tracce andare avanti su iTunes, mentre Denadai improvvisava a vuoto con un fagotto pieno di bava.
Dopo aver suonato per un’ora, sfiancato e soddisfatto come dopo un bell’orgasmo, chiamò Matteo e gli disse:
– Fratello, ho aperto le porte della percezione per te. Ora vai, fai vibrare i lori spiriti.

Matteo iniziò ad accendere i registratori, i computer e ad attaccare i cavi al mixer

– Cee, zio, ora tocca a te. O ma fai elettronica tipo storie di k2? Minchia bomba molto quello, ascolta, ma per le tue storie lo usi il subwoofer? Laghe  ti spaventi se spingi molto.

– No, sono a posto. Io comunque non suono, te l’ho detto. Ti scoccia togliere il gomito dal computer?

– Zeuro problems nenno, vai tranqua. Sono qua, fammi solo un chiamo.

Matteo, arrivato al minuto 2:08 della registrazione, allungò la mano per far partire il secondo registratore che avrebbe..
A quel punto sentì la mano del Re dei Fricchettoni sulla spalla.

– Scusa Matteo, da adesso hai ancora quattro minuti per finire. Mi dispiace, ma questi sono i tempi.

Matteo fece un respirone, guardò Beatrice e spense un computer. Poi l’altro. Poi il registratore e si mise in silenzio a riavvolgere i cavi. Il Re si avvicinò:

– Matteo, amico mio, non te la sei presa? Qui è una questione di coscienza. Io ho la coscienza a posto.

– Scusa? Cosa c’entra la coscienza? Non me la sono presa, semplicemente mi sono fatto cazzo di ottanta km, a gratis, per fare una cosa che mi avete chiesto e mi pare poco professionale, tutto qua. Ed io a queste condizioni blocco tutto.

– Fratello, la tua anima è ancora poco matura.

– Si, va bene. Ora però levati.

– Non essere ostile, ti percepisco.

– Senti, sono tranquillissimo. Voglio solo che mi lasci i coglioni in pace.

– Mi spiace, ma questa negatività ti fa male.

– Ma ti levi dal cazzo? Ma porca puttana, spostati cazzo che me ne voglio andare e basta.

– Sei un maleducato e un rude.

– Ti ho detto solo di non rompermi le palle, idiota di un rincoglionito…

Il Re rimaneva là, solo spostato verso un cespuglio, con tutta la fierezza del suo aver capito il mondo ripetendosi, come un mantra: tanto io ho suonato di più, gnegnegnegnegneee!

A quel punto arrivò il Guru, attirato dalla scena.

– Matteo?

– Si, per piacere, lasciatemi solo togliere la roba.

– Matteo?

– Guarda, davvero. Mollami un attimo.

– Matteo?

– Senti, per favore.

– Matteo?

– Oh, ma dio santo, ti levi anche tu dalle palle?

– Ma Matteo? Perché mi fai così? Perché Matteo? Noi non ci conosciamo neppure.

– Appunto, merda ma oggi hanno aperto le gabbie. Per piacere, ti prego, lasciami solo cinque minuti, cazzo.

– Matteo? Matteo.

Beatrice si avvicinò e prese Matteo per mano e lo portò lontano, da solo, per lasciarlo respirare un pochino. Il Guru rimase là, fissando la luna con gli occhi lucidi.

EPISODIO 7 – HAPPY ENDING o LA STRAGE (DA SOTTOPORRE AD APPROVAZIONE DEL PRODUTTORE)

Solo allora Beatrice prese la M7 che teneva in borsetta, diede un bacio sulla fronte a Matteo e iniziò a fare fuoco. Colpì alla nuca il Guru, che cadde immediatamente, poi si accanì sul viso del Re fino a ridurlo in poltiglia. Solo alla fine si dedicò al resto della gente, gambizzando indistintamente vecchi e bambini, trentenni annoiati e la ballerina che era ancora sull’albero aspettando il via per iniziare a ballare. Uno dietro l’altro caddero tutti. Si fermò solo quando ci fu talmente silenzio che l’unico rumore che sentiva era un eco leggero del vento che entrava nella campana tibetana del Guru.